sabato 31 agosto 2013

Parole


Capita che chiami mamma papà e lei mi chiami Toni'...e pensare che prima non era mai successo. 

Viviamo anche nelle parole?
Viviamo perché altri ci chiamano? 
... ora so perché sono un po'morta dentro...due persone non mi chiamano più, una non potrà più farlo, l’altra non vuole più


Già il buio avvolgeva il mondo, la terra dissetata e sazia riposava, dopo un giorno di faticoso lavoro sotto il sole cocente, scomparso, ormai rassegnato alla fine. Il silenzio appariva più vuoto dopo l’impetuoso applauso della pioggia, l’aria sembrava sorridere, quasi ringiovanita dal tenero tramonto di un’estate. Un sonno ristoratore, un tepore di nuovo cercato e accogliente, una profondità che lenisce le ferite e anela a dimenticare.

D’improvviso arrivò un vento dall’Est.




Giunse di soppiatto, furtivo, fresco sipario di un pomeriggio di pioggia. Calò sottile dal cielo come un etereo velo e soffiò nella stanza che riposava, in quella stanza che a lungo aveva cercato un nido tra le lacrime, nascondendo il volto alla pioggia.

Il vento si guardò intorno, aveva la forza con sé, ma non sapeva ancora come usarla. Errò senza meta in quella buia e silente stanza, posando qua e là un sibilo di stupore. Doveva guardar bene, fare il suo mestiere: trascinare via. Ma lì tutto sembrò più difficile, subito seppe che avrebbe dovuto usare tutta la sua immensa potenza di vento, l’enorme gelida mano nata per cancellar via, distruggere, sradicare, trascinare, … far dimenticare.

Ecco che tutto cominciò a palesarsi. Vide la stanza illuminarsi di parole, erano ancora vive, forti, attaccate all’anima come su scogli che attendono la tempesta, duro sarebbe stato il lavoro.

Cercò in sé tutta la forza che aveva, chiamò in rassegna le potenze dell’oblio e iniziò la sua corsa vorticosa, consapevole dell’energia nemica: la forza delle parole.

Il sibilo divenne urla, il soffio furia, la stanza si riempì di dolore. Strappare le parole, questa la parola d’ordine, strappare le parole. E così fu, o almeno così avrebbe dovuto essere.

La voce del vento si levò in alto facendo girare vorticosamente parole di rabbia, rancore, addio, parole di offesa e minaccia, parole di saggezza e consiglio, di condivisione, d’amore e amicizia, parole di aiuto, parole di scherno, d’invidia, di circostanza, parole di coraggio …

parole al vento, parole nel vento, che mai  nessuno avrebbe più ascoltato, saputo, vissuto … eppure erano lì a far divenire.

Le parole erano forti, niente le avrebbe convinte a cedere il passo al vento, per niente al mondo sarebbero sgusciate via da quella finestra, troppo presto ancora, troppo presto per abbandonare il dolore nei ricordi belli, il dolore in quelli brutti.

… mi hai cambiata, mi fai diventare triste …

Velocemente si nascondevano a quelle spire gelide, venute apposta per strapparle vie dall’anima, sotto la scrivania, tra le pagine di un libro, dietro una foto

… non possiamo essere amiche, ci vediamo tra vent’anni …

Parole che fanno divenire, trasformano, irridono un’anima che si trasforma in rancore, rabbia, dolore profondo, lasciano il vuoto nella mente e l’immobilità nei gesti, parole che ammutoliscono il cuore

… ti butto via …

parole che torturano, che il cuore non riesce a dimenticare, parole che si stupiscono di vivere ancora dopo una ferita così profonda

… mi hai tradito, deriso, sfruttato …

sarai sempre sola dietro quella porta

Le parole si fanno angoscia, torturano l’anima già provata dal dolore. Martellano la mente e mai l’abbandonano.

… ho bisogno di te, ti voglio bene, ci sarò sempre …

Dove siete? Tra le calde coperte, nascoste tra le pieghe di lacrime ancora bagnate, ristoro un tempo, gioia e pienezza, sorde ora, gridate da una voce senza suono.

 ... fai silenzio … autorità competenti …

Parole gratuite che terrorizzano, gridate, che ti fanno sentire sporca, piccola e insignificante, ti annullano, annullano. 

Si nascondevano troppo in alto, troppo in basso, in profondità, in luoghi sconosciuti, si mimetizzavano, tra vecchi cd e un Bach a penzoloni su un leggìo impolverato.

… ti resterò attaccata per sempre …

Parole che trasformano le giornate in vuoti, annunciano in ogni momento l’arrivo di un ricordo lontano, portano un sorriso, sciolgono in pianto, rabbrividiscono al solo rumore dell’assenza impotenti di fronte al nulla.

Parole che non sanno spiegare, parole senza risposta, parole solo ora di solitudine … mai prima, parole di speranza che rendono l’anima stupida, irrisa dall’altrui parola.

Il vento era sfinito, mai avrebbe immaginato una lotta così, la stanza tremava sotto la furia gelida del vento dell’Est, ma ogni parola rimase dov’era.

D’un tratto mi svegliai e, stupita da quel giovane inverno, chiusi la finestra. Forse, un giorno, sarei riuscita ad accogliere il vento, che avrebbe soffiato sui ricordi belli e brutti, ora no, adesso era presto. Troppo presto per dimenticare il dolore.


Mi chinai e sotto il letto intravidi una luce … mi hai lasciato sola …

lunedì 12 agosto 2013

Eco di voci lontane

Scendere faticosamente in fondo a un pozzo per recuperare segreti ed emozioni, mentre lassù qualcuno ti deride additando un secchio appeso ad una fune, in realtà senza sapere neanche lui cosa farsene.
Trovare la strada giusta e sentire all’improvviso chiudersi il pozzo. Buio. Un tonfo. Il secchio è precipitato e giace accanto ai segreti e alle emozioni.




Riuscivo solo a sentire l’eco di voci lontane, si confondevano coi respiri, ma, laggiù, al buio, diventava difficile distinguere le parole, raramente la dolcezza si facehva più intensa e, spinta dal coraggio, arrivava a me, mi liberava, potevo allora comprendere. Discorsi complicati, stentati ... venivano fuori da mezzi sorrisi, si facevano spazio tra le lacrime, vincevano sospiri, a volte le parole si facevano avventate, mi gettavano fuori immatura, scagliata via per farmi subito morire.

Ma era l’eco lontano che mi spaventava, un impercettibile sussurro che mi divorava, consumava, sfiniva, fino alla rabbia.

Urlaaaaaaaaaaaaa! Volevo gridare.

Perché? Perché quella paura, tremenda paura che mi obbligava a girare su quelle montagne russe?

Ti prego, fammi vivere! Fammi essere parola, gesto, sguardo! Fammi percorrere le strade dei brividi, la pienezza dell’animo, un sorriso semplice!

Ogni appello restava sospeso sul bordo di quel pozzo.

Muto, alle soglie del suono.

Era una sera d’estate, ricordo i suoni di un luogo diverso, nuovo, lontano. Dell’acqua, sì, forse una cascata e il canto dei grilli, non è  estate se non ci sono i grilli la sera, tenera malinconia, sensazione di un’attesa che niente attende, ma vive di speranza, scavando un dolce vuoto nello stomaco.
Ricordo sorrisi, ma niente altro che faceva piacere. Ci risiamo. Cominciai a prepararmi a pregare, a supplicare, ad imprecare... ci risiamo.
D’un tratto ho visto fuori, ho assaporato l’aria di una tiepida sera estiva è stato come liberarsi d’un peso, entrare in un luogo conosciuto, accomodarsi su un soffice divano e stare lì ad ascoltare l’anima. D’un tratto ho viaggiato su note e su pause, ho sentito la pienezza di un suono, quello giusto, ora in quel momento, provato e riprovato tante volte e poi, infine, eccolo. Ho sentito quel suono vibrare sotto agili dita, farle tremare, renderle sicure, ho sentito quel suono pieno e ormai sicuro amalgamarsi con quello dell’altro; due suoni insieme. Due suoni che si rincorrono, si incontrano, si riconoscono, senza alcuna legge, senza indicazioni se non il solo sentire. Ascoltare l’altro e riconoscersi in lui. Non c’era bisogno di sguardi, intesa completa. Questo era suonare insieme. Come sentirsi uno. Questo era fare musica.

Il racconto era finito. Rimasto sospeso in un silenzio imbarazzante.
Le parole erano uscite spontanee, creando una bolla surreale, era stato più semplice di quel che pensava ... ma perché aspettare tanto?

Sì, perché aspettare? Continua! Non vedi! Secchio e fune! Riprendimi ... continua! Sei sempre la solita testona, guarda! Non vedi forse quel che vedo io?

Smettila! Lasciami in pace! Torna da dove sei venuta! Sì, lo vedo anch’io che piange, ma mai mi risponderà se chiedo il perché. Perché si dovrebbe piangere al racconto di un’emozione altrui?

Non devi certo chiederlo a me!

No, ho paura. Mi fa paura chi mi scava dentro, ho paura del giudizio ... ho paura che non comprenda, che la mia confidenza lo abbia spinto lontano dalla mia realtà, lontano ... e questo lo fa soffrire e mai lo dirà. Ecco ... forse le mie parole fanno soffrire...

Mai lo saprai. Ma non sei curiosa? Fai uscire questo coraggio! Tirami fuori di qui ... sento che sto scivolando di nuovo ...
mi dai sicurezza
voglio aiutarti
ti credo
ti capisco
ti sono vicino
mi manchi
ti voglio bene
ho bisogno di te

ma guarda tu se devo suggerirti io le parole giuste! E smettila di ridere, sembri una cretina, tonta!

Ehi! Moderiamo le parole! Non rido ... sono confusa, e quando sono nervosa mi viene da ridere ... un grande inconveniente quando vieni fuori tu. È stato faticoso, ma qualcosa ho detto, nonostante il silenzio, nonostante le poche risposte.

Ora sono io! Vuoi rimandarmi in fondo a quel pozzo e poi ricominciare tutto da capo? È faticoso tornare giù e poi arrampicarsi di nuovo. Io sono un’emozione e tu devi imparare a non aver paura ...

Io ci provo. A volte sprofondi sempre più giù, poi ricompari, e tutto comincia nuovamente. Mi sono impegnata e per un attimo ti ho fatto venir fuori, hai sentito? È stato bello, vero? Poi ... tutto è finito. Ho sentito il buio calare su di noi, su di te e su di me. Non so chi sia stato ... forse l’altro, forse sono stata io che ancora una volta non ho avuto il coraggio di dire: complementare ... paura, paura, paura, paura,

Di cosa?

Di sentire solo io.

Ma voi sapete parlare di emozioni?
Sono il nostro mondo eppure le chiudiamo in pozzi senza fine per la paura di essere derisi, per la paura che qualcuno ci dia quel secchio sulla testa e non creda alle nostre parole.

Vale la pena? Vale la pena essere investiti dalle emozioni e riuscire a condividerle?
Credo di sì, anche se l'altro ti dà il secchio in testa rendendoti tutto più difficile, col tempo capirà. 
Quella sera cara emozione Non ho saputo dire che le nostre idee erano come quei due suoni e le sensazioni erano le stesse ma...non ero sicura che l'altro musicista fosse dd'accordo e quindi ha vinto la paura.

giovedì 8 agosto 2013

Dialogo di un camionista coi mustacchi e di una danzatrice del ventre con Fb


dedicato alla mia amica Eleonora

Fisico. Penso che non mi persuade; e che se tu ami la metafisica, io m'attengo alla fisica: voglio dire che se tu guardi pel sottile, io guardo alla grossa, e me ne contento. Però senza metter mano al microscopio, giudico che la vita sia più bella della morte, e do il pomo a quella, guardandole tutte due vestite.
Metafisico. Così giudico anch'io. Ma quando mi torna a mente il costume di quei barbari, che per ciascun giorno infelice della loro vita, gittavano in un turcasso una pietruzza nera, e per ogni dì felice, una bianca; penso quanto poco numero delle bianche è verisimile che fosse trovato in quelle faretre alla morte di ciascheduno, e quanto gran moltitudine delle nere. E desidero vedermi davanti tutte le pietruzze dei giorni che mi rimangono; e, sceverandole, aver facoltà di gittar via tutte le nere, e detrarle dalla mia vita; riserbandomi solo le bianche: quantunque io sappia bene che non farebbero gran cumulo, e sarebbero di un bianco torbido.
Giacomo Leopardi, Dialogo di un fisico e di un metafisico, da Operette morali


Si ritrovarono lì, un luogo strano, inusuale, che neanche sarebbero riusciti a descrivere, un posto mai visto prima, eppure, avevano visitato entrambi diversissimi luoghi viaggiando da un polo all’altro della Terra, solcato i posti più assurdi degli emisferi, dove il freddo paralizza, dove il caldo sfianca. Ora, si guardavano intorno e si sentivano persi: grovigli di fili, porte sconosciute, coperte, foto, tante foto, numeri, parole e interminabili bip, tutto mescolato insieme in una forma indistinta.
Innumerevoli occhi sbircianti, parlanti.

Dove mai erano capitati? Si guardarono scambievolmente, si fissarono negli occhi e per la prima volta videro le loro parole farsi suono, osservarono il lineamento dei loro visi, la forma della bocca, la profondità degli sguardi … ma non si riconobbero e neanche riconobbero la loro prima volta.
Chi sei? Dove siamo? Perché siamo qui e chi ci ha condotti in questo luogo sperduto e misterioso?

FB: Vi vedo.

Si sentì una voce latrare in lontananza.

FB: Nessuno mai arriva sin qui. Mi piacete.

Bip

Si avvicinarono, cercando di capire da dove provenisse quel vocione dalla cadenza autoritaria e severa di un cane alla catena; sul fondo, a destra, tra una lunga colonna di parole scroscianti, in alto, distesa mollemente sulla scritta HOME campeggiava una strana figura. Era enorme, non l’avevano notata prima perché immaginavano essere di pietra, un’enorme colossale statua, ma ora aveva parlato, mostrando la sua vera natura di essere animato. Essere umano o animale? Ciò nonostante continuava a sembrare un gigantesco blocco di marmo azzurro, freddo, impassibile, indifferente, a suo agio in quello che aveva tutta l’aria di essere il suo mondo, di lui soltanto. Bella no, donna o uomo non si riusciva a intendere, sguardo anonimo, occhi blu, profondi e smarriti nell’infinito, corpo confuso con il blu dello sfondo, un quadro che si perdeva chissà dove, non se ne riusciva a scorgere il confine. La voce tornò a levarsi da quell’orizzonte senza fine, senza verno né state.

FB: A cosa state pensando?

CAMIONISTA: A cosa stiamo pensando? Beh! Ci siamo ritrovati, senza sapere come, in questo luogo sconosciuto e ... ci stavamo chiedendo dove fossimo...Io stavo solo girando per la rete, chattavo con una mia amica e all’improvviso, eccomi qui.

DANZATRICE: Sì, ha ragione lui. Condivido. (Bip) ... anch’io stavo chiacchierando con un amico e mi sono ritrovata in questo triste luogo senza saper come.

FB: Senza sapere dite? Amici dite? Siete proprio divertenti voi due, lo sapete? AHAHAHAHHAHAHAHAH HIHIHIHIHIHIHI ;-) J mi piacete!

Bip

Io sono FB e voi ci state dentro con tutte le scarpe! Irrecuperabili! Io sono ciò che cercate e ciò che fuggite, colui che criticate e che sfruttate, sono le vostre ore, le vostre ansie, le vostre solitudini, la vostra voglia di parlare, la vostra voglia di essere altro, di essere altrove, di abitare i pensieri lontani, di svelare i sogni nascosti, alibi nella menzogna, coscienza in pace con il mondo. Io sono. Volete promuovere le mie parole?

DANZATRICE: Non capisco. Mi sento completamente smarrita e ti prego di dirci come facciamo ad uscire da questo luogo indefinibile, inimmaginabile, incollocabile ... in ... insomma parla!

FB: Ma io non posso fare nulla per voi! Siete voi gli unici a possedere le chiavi di questo luogo, a sapere perché siete qui, cosa vi ha spinto a percorrere le mie strade, cosa vi trattiene. Io sto qui, vi osservo, mi nutro delle vostre parole, delle vostre solitudini e mi diverto da morire quando, incauti e ipocriti, volete farmi la guerra a colpi di impostazioni.

CAMIONISTA: La signorina qui ha ragione, la smetta di blaterare frasi confuse...mi piacete, a cosa state pensando, promuovere parole, impostazioni ... ci vuole prendere in giro? Ci dica dove siamo e come ne usciamo, altrimenti ...

FB: Non ti scaldare bello, altrimenti ti si infiammano i baffi. Commenti a vanvera non li tollero. Ti blocco dall’alto se non ascolti. Ma dato che siete qui, voglio mettervi alla prova, al termine della quale avrete tutte le ris – post – e. AHAHAHAHAHAHAHAH scusate, non ho saputo resistere.

CAMIONISTA: Se è l’unico modo di uscire io ci sto

DANZATRICE: Condivido (bip) cosa dobbiamo fare?

FB: Dovrete dirmi chi siete. Tracciare il vostro profilo, in modo sintetico, come se doveste appenderlo su una bacheca sulla quale si arrampicano post it di chi è in cerca di un lavoro, di un’anima gemella, di un amico, di un appartamento, di chi vende la propria arte, un musicista, un professore, di chi vuole far sapere al mondo e vendersi a chi lo abita.




CAMIONISTA: Non mi fido. Mi sembra troppo semplice. Se è un tranello te ne pentirai.

FB: Troppo semplice? ahahahahahahah proviamo e ne scoprirete delle belle! Vi prometto che non taggherò i vostri post – it. Sarà una cosa tra me e voi due. Restrizioni sulla privacy. Scoprirete che non è semplice, ma dovrete dire la verità.

CAMIONISTA: Ho poco tempo, ci hai chiesto chi siamo e non chi siamo stati, quindi te lo dirò. Sono un viaggiatore solitario, percorro le strade del mondo alla guida di un enorme bestione carico di ... carico, non mi interessa di cosa, io guardo la strada e vado avanti. I miei giorni corrono veloci su vie affollate o deserte, per me non fa differenza, se non quella di spingere più o meno sull’acceleratore. Quando percorri tante strade ti sembra di avere il mondo in tasca, in realtà le strade sono tutte uguali, grigie, anonime, compagne di viaggi interminabili. Ti corrono incontro, unico spazio che si muove intorno e ogni volta non mi resta che accogliere lo stesso grigio. Solo, su quella cabina, a volte mi sembra di impazzire. Dopo un po’ cominci a capire che devi fare qualcosa per riempire quel silenzio ... deliberai di immaginare vite, le vite degli altri, le tante altre anime solitarie che sfrecciano su tutti i sentieri del mondo. Almeno questo pensavo. Ogni macchina una vita. Una donna in vacanza, un ragazzo che studia, l’uomo in carriera, gli innamorati che vanno al mare, il cane con la testa fuori dal finestrino che lotta col vento (c’è sempre il vento). Così trascorro i miei giorni e la mia casa, vuota, è solo un luogo di passaggio. Vivo nella mia testa e non riconosco più il suono della mia voce, quando i miei pensieri si fanno suono sembrano appartenere ad altri, mi fanno paura, si svuotano. Ho deciso di viaggiare sul web.

FB: Bravo! Vedo che ci sai fare coi pensieri. Mi piace (bip). Sei sicuro che tutto quello che hai raccontato sia la verità?

CAMIONISTA: Non ti sembrano troppo meste le mie parole per essere altrimenti?

Il racconto dell’uomo era stato toccante, stagliandosi su un profondo silenzio, carico di attenzione e sguardi interrogativi. Lei, la donna, riconosceva in quelle parole un non so cosa di familiare. Non ci pensò, tentò di trovare il coraggio per mettere in ordine la sua storia.

DANZATRICE: Non posso, non posso parlare di me di come sono ora, ora vivo la mia rivoluzione, una guerra col passato, forse vinta, non so. Ero prigioniera. Me ne stavo tutto il giorno a una finestra, guardavo un cortile quasi sempre deserto … sfortunata anche in quello. Le mie opinioni non erano importanti, nessuno chiedeva, a nessuno importava. Un mobile che nessuno avrebbe mai spolverato. Spesso preferivo la noia alle parole, che come frecce colpivano sempre dove potevano far male. Giorni grigi correvano incontro a se stessi. Non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dalla vita. Mio unico rifugio: la poesia e la danza. Muovermi nella più completa solitudine, quando nessuno poteva vedermi, disegnando gesti nell’aria, intorno a me stessa, impossessarmi dello spazio che solo allora sentivo mio, diventava mio.


Se la nebbia è un'illusione, se l'onda è un'illusione
la fragranza è un'illusione, il sogno è una via,
distenderò il mio corpo come un ponte sulle illusioni.
Se la follia è un'illusione, l'attesa è un' illusione, il tempo
è un' illusione
visiterò le mie illusioni da sola prima di dimenticare l'ultima
mentre tu scriverai nell'ultimo brano dal titolo "Caduta":
ho lasciato l'esilio e l'approdo in cerca dell'incerto e
dell'ignoto
non sono riuscito a tornare, mi allietavano le visioni e le
particelle di anime in libertà
tra i respiri delicati per una libertà che cerca se stessa
il tempo dell'assenza è amico, la terraferma è al tramonto
le luci sono passate, le ombre si sono ritirate
quando lacererai i veli per conoscere i cieli?
(NADA AL-HAJJ, "Evasione")


Solo nella poesia e nella danza la quiete, conobbi per prova come egli è vano pensare e cominciai solo a sentire, col cuore. Fino a che non mi è bastato più, ho spezzato le catene incapace di abbracci ho cominciato a viaggiare nel web.

Viaggiare nel web … ma cosa cercano due solitudini in questo altrove? Due verità erano state svelate, ora era tempo di tornare indietro, uscire da quel fitto ingorgo di vite altrui. Ma l’essere indistinto non era soddisfatto, per sua natura curioso voleva sapere, continuò allora a chiedere …

FB: Che allegria! Insomma avete fatto entrambi la stessa fine: il web e precisamente me. Seppur reali, i vostri racconti non soddisfano la mia voglia di sapere … questo mondo, il mio mondo è fatto per divertirsi, per chi non ha nulla da fare, buongiorno, buonasera, buon compleanno, una canzone qui una frasetta là, tutta roba riciclata, sempre la stessa, trita e ritrita, gente che si spaccia per qualcun altro, bugie a volontà, chi vuole vendere, chi si vuole vendere, chi vuole comprare, ingannare, deridere, copiare, sfruttare … foto che immortalano pranzi o posizioni impensate, parole di richiamo, di rabbia, di conforto … un grande circo dove il mondo pensa a se stesso mentre fa finta di pensare al prossimo, una grande vetrina del privato che non si accorge più del limite che lo divide dal mondo.
Ma cosa speravate di risolvere? Cosa avete trovato? Non erano forse meglio le vostre grigie vite a questa fiera della mistificazione?

CAMIONISTA: Non lo so. O meglio non ne sono sicuro. Mi piace osservare le persone, le ho lette e anche se finte, questo non mi è dato sapere, parlavano, parlano con me. Io ero uno di loro, finalmente uno di loro. Ho cercato di capirle, ho compreso tante esistenze simili alla mia ma anche diverse, che forse mai avrei incontrato nella vita di ogni giorno. Ho trovato che poi non sono così diverso dagli altri, ho scoperto che il mio dolore era solo uno dei tanti anche se mio, così è diventato metà.

DANZATRICE: Io non sapevo cosa cercare, forse tutto, forse molto, cosa ho trovato? forse nulla … magari di più. Ho trovato però me. Esserci è una conquista, avere uno spazio, essere presente. Poter parlare … raccontare …

FB: Siete proprio irrecuperabili! Ma volete capire o no che è tutto finto? Non ci sono abbracci, sguardi, carezze, voci, niente di tutto questo, solo parole!!! Non vi rendete conto che ci sono tante solitudini? Sono tante diverse solitudini una a fianco all’altra, che si scrutano e cercano risposte. Per voi non è cambiato nulla. Non avete capito che questo universo è una serie infinita di produzione e distruzione, l’una serve parimente all’altra, niente è libero da patimento :-/

DANZATRICE: Continui a volerci ingannare … ho capito il tuo gioco. L’unica solitudine qui è la tua. Non so perché ma quando il mondo non ti vuole, stranamente, per caso, senza alcuna logica o spiegazione, trovi conforto in uno sconosciuto, una persona alla quale per una strana alchimia puoi raccontare tutta la tua vita. Inutile cercare risposte, spiegazioni, succede e basta. Magari quello sconosciuto non si aspetta niente da te, non giudica, ti lascia parlare. Lo sconosciuto diventa poi conosciuto e
un pezzettino della tua malinconia se ne va. In fondo a chi piace o a chi giova questa vita infelicissima? Io potrei essere benissimo un’altra, lui allo stesso mio modo avrebbe potuto mentire, ma saremmo stati sempre noi. In fondo chi ti deve tradire lo fa anche in tre dimensioni. E fa male …

CAMIONISTA: Condivido (bip). Mi piace

FB: Andate via. Tornate da dove siete venuti. Andate prima che si alzi il vento e vi seppellisca sotto una pesante sabbia rossa. Vi vedo, fate attenzione.


lunedì 5 agosto 2013

Certezze

Avere bisogno di qualcuno in un momento di dolore, un bisogno che ti toglie il fiato e ricordare di quel qualcuno solo due parole: 

AUTORITÀ COMPETENTI …

ma la mia storia parla di chi se lo merita …

Quando si aprono certe scatole, bisogna farlo da soli … questo continuava a ripetersi mentre sentiva crescere sempre più la consapevolezza e la certezza del suo pensiero che ora vagava dagli occhi al cuore.

Rigirava tra le mani quei fogli consumati dal passato, a tratti con la foga che strappa via, in certi momenti con la calma di una carezza che sfiora per non sciupare. Pagine ingiallite dal tempo, assottigliate da lontane e instancabili letture, consumate da occhi avidi, occhi che un tempo attendevano e supplicavano, bevevano quell’inchiostro riga dopo riga in un enjambement di sensazioni inarrestabili. Fiato che ingoiava parole, veloce come un treno in corsa … Sete di parole, sete di vita altrui, offerta con la voglia di dare, presentata con il desiderio di avere altrettanto.

Ricordava. Ora ricordava e tornava a sfiorare quelle parole, ora in un modo diverso, con la consapevolezza diversa degli anni che passano, con la fermezza di una mente vissuta che torna indietro nel tempo.

La vita si era aggrovigliata su se stessa, lo aveva fatto troppo velocemente, come quando la macchina corre veloce e non puoi godere del paesaggio, un viale alberato, quel negozio di dolci, quel buffo uomo con gli occhiali sulla porta del giornalaio, la luce che si perde in un prato … il paesaggio corre via e non puoi tornare indietro, ripercorrere la stessa strada, ti resta solo quel che ne fai dei ricordi. I momenti sono momenti, vivono, muoiono e di molti se ne perde la memoria, molti li butti via, altri cerchi di tenerli ma fuggono, molti li depositi agli angoli della vita ma li ritrovi all’incrocio poco lontano … pochi li tieni stretti a te.

Mai aveva ripensato a quella stanza, ora, che tutto era finito, che la vita, in uno dei suoi tanti grovigli, le imponeva una curva pericolosa, si trovava di nuovo lì, in quel posto che era stato a lungo lontano dai suoi pensieri, nascosto tra le oscure pieghe di una noiosa e dolorosa quotidianità. La mente fa brutti scherzi, soprattutto la mente del cuore.
Non c’era angolo sul quale non potesse esitare, il suo sguardo afferrato dai mille rumori che quel luogo aveva vissuto, le sembrava ancora indugiasse il profumo di allora, gli scherzi di una mente che ricorda …




Era lì, in fondo alla stanza avvolta nella penombra, quello scrittoio, tutto come allora, accanto a una finestra sul mare, i suoi colori di bambina, le buste, i fogli, quei pochi sfortunati ai quali non era stato affidato alcun segreto, concesso alcun viaggio, e le sue amate penne.

Fu lì, in fondo a quel cassetto, accanto al gabbiano di Livingston, che ritrovò quelle lettere.

Amori, dolori, momenti di vita, dubbi, risate e lacrime, pensieri, domande, due ragazze poi donne che avevano condiviso anni della loro adolescenza in quell’ormai antico modo di carta e penna. Rilesse tutto d’un fiato con la sensazione di intrufolarsi ormai in una vita altrui, con la curiosità di rileggere le sue risposte a quelle lunghe parole, quasi monologhi, parlati con la libertà di essere soli, in una stanza, con un foglio, una penna e niente più. Aveva condiviso e vissuto parola dopo parola, aveva atteso l’arrivo di ogni risposta braccando il postino, aveva tenuto a lungo tra le mani ogni busta chiusa assaporando l’ebbrezza dell’attesa, aveva sentito ogni singolo sentimento espresso, riflettuto su ogni singola frase.

Le tornava in mente la gioia della condivisione, non può esserci niente di più bello che ascoltare ed essere ascoltati, comprendere ed essere compresi …

Il tempo e la lontananza avevano poi strappato via le pagine, soffiando granelli di polvere sui ricordi … ma loro erano lì. Vissuti uno per uno.

La vita è crudele, ma la vita è vita, un inizio un intermezzo una fine … e certamente la trama è quella di una tragedia: la gioia di una nascita, i grovigli e gli enigmi da vivere e sciogliere ed infine la morte.

Mi sono girata e lei era lì: “Non potevo non essere con te in questo triste momento”.
Dentro quelle pagine c’era la vita e la gioia di raccontarla. 
Certezza di un’assenza, certezza di una presenza.

Grazie