La memoria
è un mostro: tu dimentichi - essa no.
Archivia le cose, ecco tutto.
Le conserva per te, o te le nasconde - e le richiama, per fartele ricordare, a sua volontà.
Credi di avere una memoria.
Ma è la memoria che ha te.
John Irving, da "Preghiera per un amico"
Archivia le cose, ecco tutto.
Le conserva per te, o te le nasconde - e le richiama, per fartele ricordare, a sua volontà.
Credi di avere una memoria.
Ma è la memoria che ha te.
John Irving, da "Preghiera per un amico"
Fermarsi
un istante: quante persone al mondo in questo momento stanno facendo la stessa
cosa che sto facendo io?
Mangiare
le carote, mettere benzina, fissare il semaforo rosso, scegliere un cd.
Guardare
il sole andar via e chiedersi stupidamente perché fugga dalla notte.
Una
strada davanti, una via da percorrere. Contare i passi, sognare una méta e sospirare oltre
l’orizzonte. Un passo sicuro dietro l’altro, mentre l’aria si riempie
dell’odore fresco di un campo appena arato, anche lui pensa al domani.
Lio
amava contare i suoi passi.
uno,
due, tre
ritrovarsi
sola con una via da scalare, dritta su ogni ostacolo, fino a lasciarselo alle
spalle, lanciando i piedi oltre ciò che era già ieri.
quattro,
cinque, sei
Loro
erano lì, ma ogni volta la sua mente a complotto col suo cuore costruiva
alibi, arrancava su scuse e convinceva Lio che solo avanti era la strada giusta.
Lio
numerava i suoi passi e pensava.
sette,
otto, nove
Cercava
sicurezza su quella strada, allacciava la cintura e guardava fuori, guardava in
alto, guardava intorno e dentro, sì, dentro le persone. Un viaggio di
passi che lasciano orme, con il desiderio di dire sempre la cosa giusta.
Indossando quel suo sorriso spesso frainteso, irriso da chi non ne voleva
sapere di imparare a comprendere.
dieci,
undici, dodici
Le
piaceva perdersi lungo quella via, tenendo fisso lo sguardo in un altrove e
attraversare immaginari labirinti.
Tredici
…
Ad
un tratto sulla strada qualcosa non andò per il verso giusto. Sentì le scarpe
riempirsi di sassi. Nessun passo avanti poteva compiere, né poteva tornare
indietro, bloccata in una notte che non andava più via, a chiedersi ancora
perché il sole fugga dal buio.
Quanti
come Lio in quel momento?
Lio,
una qualsiasi, Luna o Laltra. Lio si ritrovò con un paio di scarpe di sassi,
seduta all’ultimo banco, confusa con una verde parete.
Schiacciata
e calpestata ascoltava il cuore non battergli più nel cuore, ormai i battiti
avanzavano e impazziti albergavano ovunque fino a toglierle il fiato, fino a
voler uscire da quel corpo incapace di andare oltre. Quel povero e malato cuore
…
Sbagliata
e incapace, Lio, se ne stava ferma immobile e dritta sulla strada, si sentiva indegna
di qualsiasi risposta, convinta ormai di non meritare più quel cammino.
Divenne
parte delle ombre, invisibile a chi seminava quel campo in attesa di nuova
vita, vita che scorre solo intorno.
Voleva
urlare, ma la sua voce come il suo corpo era invisibile, i piedi doloranti
erano l’unico grido che le era concesso e che le ripeteva di essere ancora
viva, … viva per ascoltare quel dolore di vergogna, mentre continuava a mescolare
le sue lacrime giuste alle sue lacrime sbagliate perché ci son dolori e dolori.
Aveva
scalato una montagna Lio, si era affacciata su quella finestra, ma un mondo di
plastica l’aveva avvolta.
Tredici
…
Ora
cercava solo un posto comodo per sedersi, togliersi le scarpe e svuotarle finalmente
dei sassi.
Ma
perché il sole fugge dalla notte?
Perché
ha paura del buio, non si accorge che fugge dal sole, da sé, ha paura di sé, dell’assenza
di sé.