Ma se siamo tutti insieme dentro un bosco e io ad un
tratto mi ritrovo sola,
sono io che ho perso voi o voi che avete perso me?
sono io che ho perso voi o voi che avete perso me?
Una piccola goccia, solo una piccola leggera lucente
trasparente goccia.
Una mattina diversa dalle altre cominciò a scendere
e sentì di essere triste; fu attraversata per un impalpabile momento da un
senso di non appartenenza, si sentì estranea lì dov’era, una malinconia che
gridava per quel nessuno che mai l’avrebbe custodita in quella scatola accanto al cuore, sentì la
sua voce perdersi.
Il vuoto.
Cosa ci faccio qui?
Si fece coraggio e mise accanto al suo buongiorno tutta
quella tristezza, sussurrò la sua richiesta d’aiuto, lo fece con tutta la forza
che riuscì a trovare.
Accanto al buongiorno ottenne indifferenza
ma che dici …
e la goccia proseguì il suo viaggio.
La strada si faceva più impervia, sassi, rovi,
salite e tremendi schianti, mentre quel buongiorno frastornava il suo cammino
tra vuoti e voluti silenzi, pensati solo come specchio di se stessi
… maschera di
un lento addio.
La goccia trovò un riparo in cui qualcuno potesse
ascoltarla e cominciò a narrare perché le faceva bene, raccontare leniva le sue
paure, toccare i suoi pensieri con le parole la recuperava a se stessa, un
mondo suo ma anche una finestra per chi avesse voluto ascoltare.
Ma un tonfo sordo e i suoi racconti finirono.
Perché mai le parole non erano bastate a spiegare?
Quale sortilegio?
Fu come parlare a nessuno, un muro che già sapeva
cosa pensare e dire; la goccia ricordava quella mattina, si era concentrata
sulla sua tristezza perché nessuno l’aveva ascoltata e il mondo se la prendeva con lei, quel mondo
che però non aveva colpe, tutto quel mondo che aveva scansato per riprendere,
sola, il suo viaggio in sé, quel mondo che si chiedeva perché mai aveva perso
il suo sorriso mentre c’erano state risposte che non aveva ascoltato.
Ma tu hai ascoltato la goccia in quella mattina di
primavera? No, mondo.
Tornò a scendere, sempre più forte, sempre più
spesso e questa volta i rovi sulla strada divennero più fitti, difficile si fece
scorrere tra gli interstizi dei pensieri, che si facevano sempre più pesanti.
Le parole l’avrebbero aiutata ad asciugarsi, il sole
era tramontato ma due parole di affetto sarebbero state come il vento sui panni
stesi ad asciugare. Non ci furono.
Decise di proseguire il suo viaggio, sarebbe stata
dura ma mai avrebbe smesso di andare avanti e raccontare la sua storia … ma a
chi?
Le giornate divennero più dure, un volto bagnato
dalla pioggia, un cuore impazzito, difficili risvegli finché non venne il
silenzio.
Fai silenzio, basta, non devi parlare, smettila …
La goccia esplose.
Un grande dolore la terrorizzò, divenne cento,
mille, diecimila gocce di pioggia e allora decise che mai avrebbe fatto
silenzio, lei aveva imparato a parlare di sé e mai nessuno le avrebbe imposto
di tacere.
Il dolore ancora è forte, ogni volta porta con sé i
mostri della vergogna, inspiegabile a dirsi, ma quella goccia è ancora e solo
una piccola leggera lucente trasparente lacrima che continua a scendere giù
dagli scogli impenetrabili di un’anima, portando con sé la nostalgia dei
ricordi, la rabbia delle bugie, l’incomprensione delle offese … perché se una
goccia dice che è triste ci deve essere sempre un’altra goccia ad ascoltare.
Vi auguro una pioggia battente.
A me resta un risveglio senza buongiorno.
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