martedì 2 settembre 2014

Una lettera


Se i ritratti dei nostri amici assenti ci sono graditi, perché rinnovano il ricordo e alleviano la nostalgia con un falso ed effimero conforto, tanto più ci è gradita una lettera, che porta le vere tracce, i veri segni dell'amico assente.

Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65


Un foglio bianco, una penna, tanti pensieri da dire, rumorosi e confusi come una piazza in festa, ma senza festa.

Decidi per la verità e il fiume in piena invaderà quel lago senza argini, insieme ad emissari della primavera, parole come venute da lontano, dal profondo si poseranno su rive assolate in cerca di ombra.


Un abbraccio nascosto attorno al desiderio di consolare e di essere consolata, troppo vigliacco per il muro crivellato dall’orgoglio, varchi di speranza a spiare gli strappi delle smorfie di egoismo. Un abbraccio, spontaneità, braccia tese a reggere un lenzuolo di quiete.

Tante domande, poche risposte. Una fila di perché, ognuna con il suo numero attende il suo turno; una lunga catena distesa  fin lì giù, lì dove le due strade s’incrociano … dove il senso è vietato, parole senza senso? senso inverso, non ne capisco il senso … lì giù, lì dove cresce un semaforo spettatore dell’andirivieni di un sole che non si muove. Qualcuno mi è passato avanti, no aspetta! toccava a me! Si ricomincia, sono in fondo, di nuovo.

Impotenza. Parola forte senza forza. Se ne va via sbattendo la porta l’energia di difendersi, di dire tenerezza, di chiedere tempo. La decisione paralizza il verbo, tutto è stato compiuto, tutto è pronto da mesi e niente puoi più dire o fare. Niente perché tu sei stupida, finalmente certificata.

Stupore che ti assale. Quando non credevi di essere impotente, quando non pensavi di essere debole, quando il mondo diventa una giungla piena e tu non puoi uscire dalla gabbia del silenzio. Stupore quando i tuoi sensi diventano inutili, le parole non hanno suono e il tuo voler bene si trasforma in una misera busta di plastica. Stupore … quando la consapevolezza di essere niente ti morde e tra i denti mastica la tua autostima … stupore di fronte all’odio manifesto

Perdono.

Dolore.

Rabbia.

Futuro …

Striscia di cuoio. Ti terrò sempre accanto al tempo che passa. Sì, e non me ne importa niente del resto.

Nessun dio, ho creduto di vedere braccia tese, sollevare, unico presagio di morte e niente di più. Tempi difficili devono venire, disse questo tra le nebbie di un’inconsapevole mente di peccatrice, ma anche non. Nessuna promessa è stata mantenuta, né da braccia tese, né da parole illusorie, nessuno mantiene le promesse, uomini o dei, nessuno varca l’impegno di una parola detta così per dire, di braccia tese così per fare. Nessun dio.

Privilegio, il mio errore. Sentire il privilegio di parole confidate, di affetti concessi, ma non sentirsi un privilegio.

Bellezza, il senso del relativo. Bello è ciò che viene condiviso, correre a casa, precipitarsi al telefono, e dire. Così ogni cosa diventa bella altrimenti è destinata a vivere, solo per te, nella sua inutilità.

Io. Non sono un privilegio, non ho cose belle, no ho nessun dio, paralizzata da stupore e impotenza riordino i miei pensieri, ma qualcuno mi ruba il posto nella fila e … non ho voglia di ricominciare da capo, non ho voglia senza un abbraccio che mi sostenga.

Ho scritto una lettera su un foglio bianco … ora è nero e pesante come un cielo minaccioso.

Ho scritto una lettera, ma mai nessuno la leggerà.



La solitudine è il più straordinario mezzo per entrare in intimità con noi stessi. E, paradossalmente, la solitudine è anche il miglior mezzo per imparare a comunicare. Solo conoscendomi, cioè conoscendo la mia interiorità, posso parlare all'interiorità dell'altro.

"Cara Mathilda. Lettere a un'amica" di Susanna Tamaro

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