Scendere
faticosamente in fondo a un pozzo per recuperare segreti ed emozioni, mentre
lassù qualcuno ti deride additando un secchio appeso ad una fune, in realtà
senza sapere neanche lui cosa farsene.
Trovare la strada giusta e sentire all’improvviso chiudersi il pozzo. Buio. Un tonfo. Il secchio è precipitato e giace accanto ai segreti e alle emozioni.
Trovare la strada giusta e sentire all’improvviso chiudersi il pozzo. Buio. Un tonfo. Il secchio è precipitato e giace accanto ai segreti e alle emozioni.
Riuscivo solo a sentire l’eco di voci
lontane, si confondevano coi respiri, ma, laggiù, al buio, diventava difficile
distinguere le parole, raramente la dolcezza si facehva più intensa e, spinta
dal coraggio, arrivava a me, mi liberava, potevo allora comprendere. Discorsi complicati,
stentati ... venivano fuori da mezzi sorrisi, si facevano spazio tra le
lacrime, vincevano sospiri, a volte le parole si facevano avventate, mi
gettavano fuori immatura, scagliata via per farmi subito morire.
Ma era l’eco lontano che mi spaventava,
un impercettibile sussurro che mi divorava, consumava, sfiniva, fino alla
rabbia.
Urlaaaaaaaaaaaaa! Volevo gridare.
Perché? Perché quella paura, tremenda
paura che mi obbligava a girare su quelle montagne russe?
Ti prego, fammi vivere! Fammi essere
parola, gesto, sguardo! Fammi percorrere le strade dei brividi, la pienezza
dell’animo, un sorriso semplice!
Ogni appello restava sospeso sul bordo
di quel pozzo.
Muto, alle soglie del suono.
Era una sera d’estate, ricordo i suoni
di un luogo diverso, nuovo, lontano. Dell’acqua, sì, forse una cascata e il
canto dei grilli, non è estate se non ci
sono i grilli la sera, tenera malinconia, sensazione di un’attesa che niente
attende, ma vive di speranza, scavando un dolce vuoto nello stomaco.
Ricordo sorrisi, ma niente altro che
faceva piacere. Ci risiamo. Cominciai a prepararmi a pregare, a supplicare, ad
imprecare... ci risiamo.
D’un tratto ho visto fuori, ho
assaporato l’aria di una tiepida sera estiva è stato come liberarsi d’un peso,
entrare in un luogo conosciuto, accomodarsi su un soffice divano e stare lì ad
ascoltare l’anima. D’un tratto ho viaggiato su note e su pause, ho sentito la
pienezza di un suono, quello giusto, ora in quel momento, provato e riprovato
tante volte e poi, infine, eccolo. Ho sentito quel suono vibrare sotto agili
dita, farle tremare, renderle sicure, ho sentito quel suono pieno e ormai
sicuro amalgamarsi con quello dell’altro; due suoni insieme. Due suoni che si
rincorrono, si incontrano, si riconoscono, senza alcuna legge, senza
indicazioni se non il solo sentire. Ascoltare l’altro e riconoscersi in lui.
Non c’era bisogno di sguardi, intesa completa. Questo era suonare insieme. Come
sentirsi uno. Questo era fare musica.
Il racconto era finito. Rimasto sospeso
in un silenzio imbarazzante.
Le parole erano uscite spontanee,
creando una bolla surreale, era stato più semplice di quel che pensava ... ma
perché aspettare tanto?
Sì, perché aspettare? Continua! Non
vedi! Secchio e fune! Riprendimi ... continua! Sei sempre la solita testona,
guarda! Non vedi forse quel che vedo io?
Smettila! Lasciami
in pace! Torna da dove sei venuta! Sì, lo vedo anch’io che piange, ma mai mi
risponderà se chiedo il perché. Perché si dovrebbe piangere al racconto di
un’emozione altrui?
Non devi certo chiederlo a me!
No, ho paura. Mi fa
paura chi mi scava dentro, ho paura del giudizio ... ho paura che non comprenda,
che la mia confidenza lo abbia spinto lontano dalla mia realtà, lontano ... e
questo lo fa soffrire e mai lo dirà. Ecco ... forse le mie parole fanno
soffrire...
Mai lo saprai. Ma non sei curiosa? Fai
uscire questo coraggio! Tirami fuori di qui ... sento che sto scivolando di
nuovo ...
mi dai sicurezza
voglio aiutarti
ti credo
ti capisco
ti sono vicino
mi manchi
ti voglio bene
ho bisogno di te
ma guarda tu se
devo suggerirti io le parole giuste! E smettila di ridere, sembri una cretina,
tonta!
Ehi! Moderiamo le parole! Non rido ...
sono confusa, e quando sono nervosa mi viene da ridere ... un grande
inconveniente quando vieni fuori tu. È stato
faticoso, ma qualcosa ho detto, nonostante il silenzio, nonostante le poche
risposte.
Ora sono io! Vuoi
rimandarmi in fondo a quel pozzo e poi ricominciare tutto da capo? È faticoso tornare giù e poi
arrampicarsi di nuovo. Io sono un’emozione e tu devi imparare a non aver paura
...
Io ci provo. A volte
sprofondi sempre più giù, poi ricompari, e tutto comincia nuovamente. Mi sono
impegnata e per un attimo ti ho fatto venir fuori, hai sentito? È stato bello, vero? Poi ...
tutto è finito. Ho sentito il buio calare su di noi, su di te e su di me. Non
so chi sia stato ... forse l’altro, forse sono stata io che ancora una volta
non ho avuto il coraggio di dire: complementare ... paura, paura, paura, paura,
Di cosa?
Di sentire solo io.
Ma voi
sapete parlare di emozioni?
Sono il nostro mondo eppure le chiudiamo in pozzi senza fine per la paura di essere derisi, per la paura che qualcuno ci dia quel secchio sulla testa e non creda alle nostre parole.
Vale la pena? Vale la pena essere investiti dalle emozioni e riuscire a condividerle?
Credo di sì, anche se l'altro ti dà il secchio in testa rendendoti tutto più difficile, col tempo capirà.
Quella sera cara emozione Non ho saputo dire che le nostre idee erano come quei due suoni e le sensazioni erano le stesse ma...non ero sicura che l'altro musicista fosse dd'accordo e quindi ha vinto la paura.
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