lunedì 12 agosto 2013

Eco di voci lontane

Scendere faticosamente in fondo a un pozzo per recuperare segreti ed emozioni, mentre lassù qualcuno ti deride additando un secchio appeso ad una fune, in realtà senza sapere neanche lui cosa farsene.
Trovare la strada giusta e sentire all’improvviso chiudersi il pozzo. Buio. Un tonfo. Il secchio è precipitato e giace accanto ai segreti e alle emozioni.




Riuscivo solo a sentire l’eco di voci lontane, si confondevano coi respiri, ma, laggiù, al buio, diventava difficile distinguere le parole, raramente la dolcezza si facehva più intensa e, spinta dal coraggio, arrivava a me, mi liberava, potevo allora comprendere. Discorsi complicati, stentati ... venivano fuori da mezzi sorrisi, si facevano spazio tra le lacrime, vincevano sospiri, a volte le parole si facevano avventate, mi gettavano fuori immatura, scagliata via per farmi subito morire.

Ma era l’eco lontano che mi spaventava, un impercettibile sussurro che mi divorava, consumava, sfiniva, fino alla rabbia.

Urlaaaaaaaaaaaaa! Volevo gridare.

Perché? Perché quella paura, tremenda paura che mi obbligava a girare su quelle montagne russe?

Ti prego, fammi vivere! Fammi essere parola, gesto, sguardo! Fammi percorrere le strade dei brividi, la pienezza dell’animo, un sorriso semplice!

Ogni appello restava sospeso sul bordo di quel pozzo.

Muto, alle soglie del suono.

Era una sera d’estate, ricordo i suoni di un luogo diverso, nuovo, lontano. Dell’acqua, sì, forse una cascata e il canto dei grilli, non è  estate se non ci sono i grilli la sera, tenera malinconia, sensazione di un’attesa che niente attende, ma vive di speranza, scavando un dolce vuoto nello stomaco.
Ricordo sorrisi, ma niente altro che faceva piacere. Ci risiamo. Cominciai a prepararmi a pregare, a supplicare, ad imprecare... ci risiamo.
D’un tratto ho visto fuori, ho assaporato l’aria di una tiepida sera estiva è stato come liberarsi d’un peso, entrare in un luogo conosciuto, accomodarsi su un soffice divano e stare lì ad ascoltare l’anima. D’un tratto ho viaggiato su note e su pause, ho sentito la pienezza di un suono, quello giusto, ora in quel momento, provato e riprovato tante volte e poi, infine, eccolo. Ho sentito quel suono vibrare sotto agili dita, farle tremare, renderle sicure, ho sentito quel suono pieno e ormai sicuro amalgamarsi con quello dell’altro; due suoni insieme. Due suoni che si rincorrono, si incontrano, si riconoscono, senza alcuna legge, senza indicazioni se non il solo sentire. Ascoltare l’altro e riconoscersi in lui. Non c’era bisogno di sguardi, intesa completa. Questo era suonare insieme. Come sentirsi uno. Questo era fare musica.

Il racconto era finito. Rimasto sospeso in un silenzio imbarazzante.
Le parole erano uscite spontanee, creando una bolla surreale, era stato più semplice di quel che pensava ... ma perché aspettare tanto?

Sì, perché aspettare? Continua! Non vedi! Secchio e fune! Riprendimi ... continua! Sei sempre la solita testona, guarda! Non vedi forse quel che vedo io?

Smettila! Lasciami in pace! Torna da dove sei venuta! Sì, lo vedo anch’io che piange, ma mai mi risponderà se chiedo il perché. Perché si dovrebbe piangere al racconto di un’emozione altrui?

Non devi certo chiederlo a me!

No, ho paura. Mi fa paura chi mi scava dentro, ho paura del giudizio ... ho paura che non comprenda, che la mia confidenza lo abbia spinto lontano dalla mia realtà, lontano ... e questo lo fa soffrire e mai lo dirà. Ecco ... forse le mie parole fanno soffrire...

Mai lo saprai. Ma non sei curiosa? Fai uscire questo coraggio! Tirami fuori di qui ... sento che sto scivolando di nuovo ...
mi dai sicurezza
voglio aiutarti
ti credo
ti capisco
ti sono vicino
mi manchi
ti voglio bene
ho bisogno di te

ma guarda tu se devo suggerirti io le parole giuste! E smettila di ridere, sembri una cretina, tonta!

Ehi! Moderiamo le parole! Non rido ... sono confusa, e quando sono nervosa mi viene da ridere ... un grande inconveniente quando vieni fuori tu. È stato faticoso, ma qualcosa ho detto, nonostante il silenzio, nonostante le poche risposte.

Ora sono io! Vuoi rimandarmi in fondo a quel pozzo e poi ricominciare tutto da capo? È faticoso tornare giù e poi arrampicarsi di nuovo. Io sono un’emozione e tu devi imparare a non aver paura ...

Io ci provo. A volte sprofondi sempre più giù, poi ricompari, e tutto comincia nuovamente. Mi sono impegnata e per un attimo ti ho fatto venir fuori, hai sentito? È stato bello, vero? Poi ... tutto è finito. Ho sentito il buio calare su di noi, su di te e su di me. Non so chi sia stato ... forse l’altro, forse sono stata io che ancora una volta non ho avuto il coraggio di dire: complementare ... paura, paura, paura, paura,

Di cosa?

Di sentire solo io.

Ma voi sapete parlare di emozioni?
Sono il nostro mondo eppure le chiudiamo in pozzi senza fine per la paura di essere derisi, per la paura che qualcuno ci dia quel secchio sulla testa e non creda alle nostre parole.

Vale la pena? Vale la pena essere investiti dalle emozioni e riuscire a condividerle?
Credo di sì, anche se l'altro ti dà il secchio in testa rendendoti tutto più difficile, col tempo capirà. 
Quella sera cara emozione Non ho saputo dire che le nostre idee erano come quei due suoni e le sensazioni erano le stesse ma...non ero sicura che l'altro musicista fosse dd'accordo e quindi ha vinto la paura.

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