giovedì 28 marzo 2013

RIGOLETTO, IL BUFFONE BEFFATO “L’ANTITESI IN SCENA”


Quello che mi piace in Rigoletto? Il contrasto. Ma andiamo per gradi: stiamo parlando di una delle più belle ed emozionanti opere di G. Verdi “il signor zum pa pa” soprannome che molti non conoscono, opera che insieme a Traviata e Trovatore costituisce la cosiddetta trilogia popolare, non molto apprezzata all’epoca di Verdi. Rigoletto è la conclusione di un lungo percorso che portò il compositore a raggiungere un alto grado di perfezione, perfezione che Verdi cercava nella forte compenetrazione tra musica e parole, poi portata alle estreme conseguenze da R. Wagner. Torniamo al contrasto. Portare sulla scena un buffone di corte non è gran cosa, ma se si intende scrivere un’opera seria allora scatta il sentimento, il dissidio interiore, la compassione, nel senso latino del termine cum patire soffrire con. Dove è il contrasto?

1. Un buffone protagonista di un’opera seria, la sua sofferenza causata da una triste storia passata e la vita che lo obbliga a essere un doppio di se stesso, il volto della conformità-deformità e quello del padre che vive per difendere il suo unico bene, sua figlia, la faccia bella della vita alla quale si aggrappa perché è l’unica cosa che lo fa sentire uomo
2. Gilda, la figlia combattuta tra amore paterno e amore, sbagliato, per il libertino di turno, ragazza che vive tra gli interrogativi della famiglia, non sa chi sia sua madre, non conosce l’altro volto di suo padre o il suo vero nome, ingenua e innamorata
3. Ancora contrasto nella struttura musicale: un tragico e cupo preludio seguito da una festa di corte con musiche di danza, un baritono protagonista, movimenti veloci sulla scena tipici di un’ opera buffa, lo stesso inganno ed equivoco che da Plauto in poi ha misurato i testi di ogni commediografo, i frequenti duetti dove spesso i cantanti intonano melodie contrastanti e che servono a caratterizzare i personaggi in un continuo reciproco confronto ….
Penso che questo e altro ancora faccia scattare l’ emozione e la partecipazione, ma soprattutto la consapevolezza che anche qui, come in tutte le opere di Verdi, l’infelice che cerca la felicità e il riscatto non ci riesce mai, la lotta è impari, Verdi sottolinea come niente si può contro la convenzione sociale, contro l’ingiustizia, contro il destino … e allora il duca di Mantova è e sarà sempre il libertino, figura stabile che dall’inizio alla fine ribadisce, quale eterna beffa, il suo modo di porsi-imporsi alla società.
Vorrei proporvi la summa del contrasto e insieme il pezzo più toccante dell’intera opera: il quartetto dell’ultimo atto. Premetto che in tutta l’opera c’è una sola aria (Caro nome) e non ci sono i soliti concertati finali d’atto…il genio di Verdi non voleva certo confondere questo quartetto con altri insiemi interessanto al duetto in sé in questa come in quasi tutte le sue opere (pensate che il maestro aveva preso l’abitudine di non scrivere un pezzo per volta, ma di mettersi libretto alla mano e definire subito tutto in una volta i pezzi, mi emoziona pensare a lui intento al suo lavoro che legge il libretto e oltre ad apprezzarne il testo già lo immagina in romanze, caballette, cavatine, ballate duetti, declamati, cori … da musicista è affascinante perché i musicisti hanno il cattivo vizio di fare attenzione alla musica e non alle parole…per quelle ripassiamo dopo).
Il quartetto, come dicevo, scolpisce definitivamente il contrasto della vicenda e la situazione psicologica dei personaggi: Rigoletto, Gilda, il Duca e Maddalena. Rigoletto decide che, sofferenza a parte, dovrà mettere la figlia di fronte al fatto compiuto e così mostrare il suo innamorato all’opra, vale a dire insieme a un’altra, l’altra è Maddalena, sorella del sicario della storia, che per mestiere da truffatrice sta al gioco.
Il Duca, erotismo allo stato puro, seduttore di professione intona una melodia aperta, ascensionale, dolce e seducente che a “palpitar” farebbe venire i brividi anche alla Venere di Milo … Si propone schiavo d’amore come il più perfetto degli elegiaci e qui il crollo di qualsiasi giovin donzella.
Maddalena, che deve sedurre il libertino ma che poi ne rimane sedotta, comincia a ridere e il suo canto è veloce (in semicrome) mentre la linea melodica è sia ascendente che discendente … ci gira intorno? Sta fingendo e lo sa fare bene, ma nulla vale davanti al seduttore per eccellenza che ha dalla sua Don Giovanni, il conte di Almaviva e il giovane Cherubino latin lover in erba.
Gilda ascolta parole d’amore che non sono per lei, il suo canto è disperato con una linea melodica discendente, composta da ritmi spezzati simili a singhiozzi.
Rigoletto ha a mio parere con la parte più profondamente commovente: se ascoltate con attenzione la sua melodia non si muove, mi direte che lui è un baritono e inevitabilmente deve fare da sostegno armonico, ma il suo disegno melodico è statico soprattutto perché dietro è la rabbia repressa che prende corpo. Costringe la figlia a soffrire, è furioso con il duca, magari vorrebbe urlare ma è un padre amorevole e deve reprimere la rabbia di fronte al pianto della figlia, quindi ecco la nostra melodia statica che procede a passi lenti, lenti e flemmatici come il pensiero di una riuscita vendetta. I quattro stanno cantando fino a che, esaurite le quartine ecco che torna a emergere il duca…è lui che vince sempre, siamo lì per lui, siamo stati maledetti per lui, ogni giorno scherziamo per il suo diletto, lui ha sedotto nostra figlia e per vendicarci di lui nostra figlia morirà. Così fino all’accordo finale, nel quale la voce di soprano, Gilda, sovrasterà tutte le altre e la disperazione sarà compiuta, mentre noi già sappiamo cosa avverrà anche se in realtà ancora non è avvenuto, la potenza della musica.
Quattro personaggi, quattro situazioni psicologiche, quattro tipi di andamento melodico e ritmico, ma due situazioni diverse: due personaggi in preda alla disperazione e due che fanno baldoria, il serio e il buffo, grottesco dell’opera, antitesi del testo che tanto affascina, il comico che si sovrappone al tragico.

9 agosto 2010



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