Quello che mi piace in Rigoletto? Il contrasto. Ma andiamo per
gradi: stiamo parlando di una delle più belle ed emozionanti opere di G.
Verdi “il signor zum pa pa” soprannome che molti non conoscono, opera
che insieme a Traviata e Trovatore costituisce la cosiddetta trilogia
popolare, non molto apprezzata all’epoca di Verdi. Rigoletto è la
conclusione di un lungo percorso che portò il compositore a raggiungere
un alto grado di perfezione, perfezione che Verdi cercava nella forte
compenetrazione tra musica e parole, poi portata alle estreme
conseguenze da R. Wagner. Torniamo al contrasto. Portare sulla scena un
buffone di corte non è gran cosa, ma se si intende scrivere un’opera
seria allora scatta il sentimento, il dissidio interiore, la
compassione, nel senso latino del termine cum patire soffrire con. Dove è
il contrasto?
1. Un buffone protagonista di un’opera seria, la
sua sofferenza causata da una triste storia passata e la vita che lo
obbliga a essere un doppio di se stesso, il volto della
conformità-deformità e quello del padre che vive per difendere il suo
unico bene, sua figlia, la faccia bella della vita alla quale si
aggrappa perché è l’unica cosa che lo fa sentire uomo
2. Gilda, la
figlia combattuta tra amore paterno e amore, sbagliato, per il
libertino di turno, ragazza che vive tra gli interrogativi della
famiglia, non sa chi sia sua madre, non conosce l’altro volto di suo
padre o il suo vero nome, ingenua e innamorata
3. Ancora contrasto
nella struttura musicale: un tragico e cupo preludio seguito da una
festa di corte con musiche di danza, un baritono protagonista, movimenti
veloci sulla scena tipici di un’ opera buffa, lo stesso inganno ed
equivoco che da Plauto in poi ha misurato i testi di ogni commediografo,
i frequenti duetti dove spesso i cantanti intonano melodie contrastanti
e che servono a caratterizzare i personaggi in un continuo reciproco
confronto ….
Penso che questo e altro ancora faccia scattare l’
emozione e la partecipazione, ma soprattutto la consapevolezza che anche
qui, come in tutte le opere di Verdi, l’infelice che cerca la felicità e
il riscatto non ci riesce mai, la lotta è impari, Verdi sottolinea come
niente si può contro la convenzione sociale, contro l’ingiustizia,
contro il destino … e allora il duca di Mantova è e sarà sempre il
libertino, figura stabile che dall’inizio alla fine ribadisce, quale
eterna beffa, il suo modo di porsi-imporsi alla società.
Vorrei
proporvi la summa del contrasto e insieme il pezzo più toccante
dell’intera opera: il quartetto dell’ultimo atto. Premetto che in tutta
l’opera c’è una sola aria (Caro nome) e non ci sono i soliti concertati
finali d’atto…il genio di Verdi non voleva certo confondere questo
quartetto con altri insiemi interessanto al duetto in sé in questa come
in quasi tutte le sue opere (pensate che il maestro aveva preso
l’abitudine di non scrivere un pezzo per volta, ma di mettersi libretto
alla mano e definire subito tutto in una volta i pezzi, mi emoziona
pensare a lui intento al suo lavoro che legge il libretto e oltre ad
apprezzarne il testo già lo immagina in romanze, caballette, cavatine,
ballate duetti, declamati, cori … da musicista è affascinante perché i
musicisti hanno il cattivo vizio di fare attenzione alla musica e non
alle parole…per quelle ripassiamo dopo).
Il quartetto, come
dicevo, scolpisce definitivamente il contrasto della vicenda e la
situazione psicologica dei personaggi: Rigoletto, Gilda, il Duca e
Maddalena. Rigoletto decide che, sofferenza a parte, dovrà mettere la
figlia di fronte al fatto compiuto e così mostrare il suo innamorato
all’opra, vale a dire insieme a un’altra, l’altra è Maddalena, sorella
del sicario della storia, che per mestiere da truffatrice sta al gioco.
Il
Duca, erotismo allo stato puro, seduttore di professione intona una
melodia aperta, ascensionale, dolce e seducente che a “palpitar”
farebbe venire i brividi anche alla Venere di Milo … Si propone schiavo
d’amore come il più perfetto degli elegiaci e qui il crollo di
qualsiasi giovin donzella.
Maddalena, che deve sedurre il
libertino ma che poi ne rimane sedotta, comincia a ridere e il suo canto
è veloce (in semicrome) mentre la linea melodica è sia ascendente che
discendente … ci gira intorno? Sta fingendo e lo sa fare bene, ma nulla
vale davanti al seduttore per eccellenza che ha dalla sua Don Giovanni,
il conte di Almaviva e il giovane Cherubino latin lover in erba.
Gilda
ascolta parole d’amore che non sono per lei, il suo canto è disperato
con una linea melodica discendente, composta da ritmi spezzati simili a
singhiozzi.
Rigoletto ha a mio parere con la parte più
profondamente commovente: se ascoltate con attenzione la sua melodia non
si muove, mi direte che lui è un baritono e inevitabilmente deve fare
da sostegno armonico, ma il suo disegno melodico è statico soprattutto
perché dietro è la rabbia repressa che prende corpo. Costringe la figlia
a soffrire, è furioso con il duca, magari vorrebbe urlare ma è un padre
amorevole e deve reprimere la rabbia di fronte al pianto della figlia,
quindi ecco la nostra melodia statica che procede a passi lenti, lenti e
flemmatici come il pensiero di una riuscita vendetta. I quattro stanno
cantando fino a che, esaurite le quartine ecco che torna a emergere il
duca…è lui che vince sempre, siamo lì per lui, siamo stati maledetti per
lui, ogni giorno scherziamo per il suo diletto, lui ha sedotto nostra
figlia e per vendicarci di lui nostra figlia morirà. Così fino
all’accordo finale, nel quale la voce di soprano, Gilda, sovrasterà
tutte le altre e la disperazione sarà compiuta, mentre noi già sappiamo
cosa avverrà anche se in realtà ancora non è avvenuto, la potenza della
musica.
Quattro personaggi, quattro situazioni psicologiche,
quattro tipi di andamento melodico e ritmico, ma due situazioni diverse:
due personaggi in preda alla disperazione e due che fanno baldoria, il
serio e il buffo, grottesco dell’opera, antitesi del testo che tanto
affascina, il comico che si sovrappone al tragico.
9 agosto 2010
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